(Red) – In questo particolare momento, dove tra restrizioni di carattere limitativo per la libertà di movimento e quelle derivanti dal congelamento delle attività lavorative, abbiamo inteso interpellare un professionista esperto della materia, Dott. Yari Mirko Alfano Psicologo iscritto all’Ordine di Napoli, che al quesito in epigrafe ha risposto così:
“Data l’emergenza Covid-19, le autorità istituzionali hanno unito la propria voce a quella di medici e scienziati, raccomandando tutto il popolo italiano di stare in casa il più possibile e di allontanarsi soltanto in caso di reale necessità – ovvero per andare al lavoro o a fare la spesa.
Psicologicamente, viste le suddette misure restrittive, la situazione non è facile. Da psicologo sento di poter dire che la metabolizzazione di un evento nuovo, in questo caso una pandemia, comporta una interruzione della normalità. Metabolizzare tali eventi necessita varie fasi; la prima è la negazione: ciò che è comunicato viene ritenuto come esagerato, non possibile, come, ad esempio, la gravità del virus, il bisogno assoluto di rimanere a casa. Si pensa, quindi, che la situazione sia “gonfiata” rispetto alla realtà. In effetti, le persone faticano a realizzare di dover cambiare il proprio stile di vita, poiché ciò potrebbe minare la loro autostima, il livello di agiatezza e di garanzie, di diritti, eccetera. Risulta dunque difficile (se non inaccettabile) rinunciare alla nostra routine quotidiana; la seconda fase è quella, invece, della rabbia: la restrizione non voluta, il contatto prolungato tra le mura di casa con figli iperattivi o coniugi in ansia o violenti, può far sorgere dell’aggressività, in noi, nei confronti della situazione. Arriva poi la fase della negoziazione: si cerca di scendere a patti e ci si immagina scenari alternativi. Segue la fase della depressione che non va inteso come termine negativo ma, al contrario, si “allentano” le pressioni e ci si “rassegna” al fatto che bisognerà portare pazienza, osservare le norme igieniche e di comportamento e aspettare che il periodo di quarantena passi. Per ultimo, la fase dell’accettazione, ovvero il momento in cui si inizierà a convivere in maniera serena e costruttiva con le nuove condizioni.
Questa convivenza “forzata” possiamo utilizzarla come monito per recuperare contatti più autentici con i nostri legami, amici e parenti, per risolvere conti in sospeso, per lasciarci raggiungere dalle cose da cui di solito scappiamo. E poi, studiamo: l’evasione e le serie tv sono più “comode”, ma anche approfittare per fornire a noi stessi formazione professionale mediante un corso online può essere un modo per aumentare la percezione di autostima.Cerchiamo di attuare quella che si definisce “fuga psicologica”, ossia la capacità della mente umana «di poterci far uscire rispetto alla situazione contingente in cui siamo, di rimanere fermi ma di viaggiare nello stesso tempo». Stare a casa è sacrificio che possiamo permetterci, anche perché limitato nel tempo.
Peculiare, poi, è il discorso che dobbiamo indirizzare a soggetti in condizioni di minore tutela, in particolare alle donne vittime di episodi di violenza (fisica e non), le cui attuali condizioni di isolamento imposto aumentano le possibilità di controllo e di limitazione della libertà esercitate dal maltrattante. L’isolamento, infatti, è una delle forme principali attraverso cui si manifesta la violenza domestica e spesso, per le donne che la subiscono, l’unico momento disponibile per contattare i servizi a cui chiedere aiuto è quello in cui sono fuori casa (o è fuori casa il partner). La condizione di forte riduzione dei contatti esterni e la condivisione prolungata degli spazi abitativi con il partner violento, può, quindi, costituire un serio ostacolo all’emersione di situazioni di violenza domestica e assistita, un impedimento alla richiesta di aiuto dovuta alla difficoltà di contattare i servizi e un rallentamento generale dei percorsi di uscita dalla violenza.
Sento di dire a queste donne che comprendo, in questo periodo, quanto sia maggiormente difficile chiedere aiuto, fare telefonate, mandare sms e richiedere, dunque, un supporto, ma al tempo stesso voglio infondere loro coraggio, incitandole a chiedere aiuto prima che la situazione degeneri: ricordate che si può chiamare il 1522, oppure scaricare una app dal proprio telefono “1522 Anti violenza e stalking”. Invito queste donne, inoltre, ad approfittare di ogni momento possibile: inventare la scusa di fare la spesa, se si ha un cane di portarlo in giro per i propri bisogni, di andare a buttare l’immondizia, oppure di chiamare dal bagno aprendo l’acqua della doccia. Createvi dunque delle opportunità, anche tramite una amica, se c’è troppa paura di non potercela fare o per paura di essere scoperte”.
Dott. Yari Mirko Alfano Psicologo iscritto all’Ordine di Napoli
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