(di Ylenia Zaira avv. Alfano) Castellammare si avvicina al voto, e questa – a due giorni dalla chiusura delle liste – è cosa nota, come noti sono i nomi dei cinque aspiranti sindaci e dei loro sostenitori, che a loro volta sono in corsa per ricoprire il ruolo di consiglieri comunali. Non è di questo, tuttavia, che voglio occuparmi, ma piuttosto di una congiuntura socio – culturale che, abbinandosi ad eventi peculiari della mia vita privata, mi ha fornito un’occasione di seria riflessione.
Sabato sera, alle 20.30, nella Concattedrale di Piazza Giovanni XXIII si è tenuta una Veglia di preghiera per la città, fortemente voluta dall’Arcivescovo Mons. Francesco Alfano, il quale – invero – ha presieduto l’assemblea dei fedeli astanti ed ha speso parole importanti sulla necessità dell’impegno dei cattolici in ambito sociale e politico. Quella stessa sera, il mio gruppo M.a.s.c.i. (che sta per “movimento adulti scout cattolici italiani”) aveva in programma di vivere un momento di vita di comunità e di preghiera, presso la Concattedrale medesima, in occasione dell’ingresso ufficiale di un fratello in comunità. Raccolto l’invito del parroco don Antonino, abbiamo deciso di partecipare alla veglia cittadina prima, e di restare poi nella chiesa, ormai svuotata, per vivere il nostro momento scout.
La “preghiera semplice”, scelta dagli organizzatori della veglia cittadina, era la medesima che noi stessi avevamo scelto per il “nostro” momento di incontro e di preghiera. La cosa mi ha colpito non poco. Insomma, questa esigenza è stata prepotente: le parole “pace”, “perdono”, “amore”, “impegno” si sono duramente fatta strada, ma alla fine sono giunte, probabilmente, ove erano destinate. Già nel 2009, ad Alghero, città che aveva dato i natali al mio nonno, avevo preso parte ad un evento scout, di rilevanza nazionale, ove si proclamava con convinzione la necessità che i cattolici, in prima linea, prendessero parte alle elezioni in senso attivo (votando), ed in senso passivo (facendosi votare, ovviamente candidandosi). Tornata a casa, mi parve poi che la cosa non fosse poi tanto seria e convincente, poiché non trovavo – nella gente, nelle parrocchie – la medesima convinzione.
Oggi, a quasi dieci anni di distanza, sento dire che addirittura il comandamento dell’amore al prossimo può essere concretamente vissuto attraverso la partecipazione alla cosa pubblica: stupefacente messaggio, direi. Che è tanto straordinario quanto logico.
Per troppi anni una Chiesa “a porte chiuse” si è limitata a pregare per i governanti una volta a settimana e per pochi secondi. Questo, ovviamente, è un generalissimo discorso, e non me ne voglia qualcuno che magari, bontà sua, per i nostri rappresentanti prega cento volte al giorno. Tuttavia, resta il fatto che poche volte ho sentito – se non ad Alghero ed in sparute altre occasioni – l’invito a vivere il sacerdozio battesimale “nel mondo”: solo con un impegno personale, infatti, possiamo prendere parte alla costruzione materiale e morale della città, ponendo in opera la realizzazione di interessi di gruppo e non individuali, volti alla realizzazione di un bene superiore e diverso rispetto alla necessità occasionale nostra, di nostra cugina, dell’amico di turno.
A nulla servono, al contrario, la chiusura e la lamentazione.
E proprio domenica mattina, a circa 12 ore di distanza dalla conclusione della veglia, sempre nei pressi della cattedrale ho incontrato un giovane amico di vecchia data, il quale altro non ha fatto che esprimere critiche e giudizi rivolti “a destra e a manca”, senza dimenticare ovviamente il centro. Con enorme calma, gli ho detto: “Candidati”. E lui: “Io? Ma non ne ho alcuna intenzione!” “Sbagli – proseguivo io – invece di lamentarti, dovresti candidarti”. E lui: “Perché dovrei candidarmi?” “Perché lo ha detto il Vescovo” concludevo un po’ seccamente, ma solo perché riflettevo sulla saggezza del messaggio che ci era stato proposto, e così toccavo con mano quanto realmente inutili siano la chiusura e la lamentazione.
Ed ancora, come non cogliere la potenza del richiamo severo all’onestà? Da avvocato, ne sento tutta la necessità: l’onestà dei rappresentanti all’interno di un qualsiasi ordinamento, non può essere degradato a mero fattore ornamentale, me deve costituire una necessità imprescindibile. Votando un disonesto, sei disonesto tu stesso, pensavo. Solo unendo onestà e competenza, piuttosto, è possibile finalmente svolgere il lavoro di gruppo richiesto dal Vescovo: una lotta quotidiana contro le mafie, contro le criminalità, contro i soprusi, sempre tenendo presente l’esigenza di tutelare l’argento vivo della società, ovvero la famiglia. Così debole, massacrata, eppure sempre così bella. E poi, vogliamo forse fare finta che la tutela della famiglia non passi per la tutela del lavoro? Ce lo gridano, con il proprio sangue, i padri di famiglia che, perduto il lavoro o sommersi dai debiti, hanno compiuto finanche gesti estremi.
E allora, concludo, non bisogna avere paura.
Di tre cose almeno.
Non bisogna avere paura di scendere in campo: dobbiamo candidarci, dobbiamo sostenere chi si candida con questi ideali, dobbiamo formare le coscienze dei piccoli e smuovere quelle dei grandi.
Non bisogna avere paura di dire “no”: al disonesto, all’incompetente, al millantatore, al truffatore di turno, di questo turno… dobbiamo avere il coraggio di dire “no”. E’ un “no” liberatore, salvifico dire.
E da ultimo, non bisogna avere paura di chiedere il “conto”: dell’operato dei nostri politici, stavolta chiediamo il conto. Ma non alla fine.
Adesso.
Perché non abbiamo a pentirci, o addirittura a vergognarci di noi stessi.
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