(Red) – Con la città di Castellammare in piena emergenza sanitaria, derivante dall’epidemia di Coronavirus, due importanti panetterie con punti vendita ubicati proprio al centro della città, in una strada tra l’altro strategica e che servono un altissimo numero di cittadini in considerazione dell’alta densità abitativa della zona, annunciano la temporanea chiusura degli esercizi e, pertanto, la cessazione della vendita del pane, bene di primaria importanza e catalogato come un alimento indispensabile. Molti cittadini ci hanno contattato, qualcuno inviando anche qualche foto, per comunicarci la decisione assunta dai titolari dei due esercizi in questione. Avendo verificato la solerte segnalazione e considerata la circostanza che, come ci raccontano anziani datati, assomiglia proprio tanto a quella del periodo bellico vuoi per l’istituzione del coprifuoco che del relativo lasciapassare, si potrebbe correre il serio rischio che, sulla scorta dell’emulazione “professionale”, anche altri esercizi dello stesso genere potrebbero optare per la stessa identica scelta determinando, in tal modo, l’improbabile istituzione di una pratica molto in voga in quegli anni, pane con la tessera, e che potrebbe essere riproposta in maniera riveduta e corretta in salsa moderna. Ma, scherzi a parte, la situazione prospettata dai cittadini segnalatori non risulta essere poi tanto lontana dal grave disagio che, questo scenario, potrebbe creare per il reperimento del pane, motivo per cui sarebbe appena il caso di valutare se questa scellerata scelta imprenditoriale risulti compatibile, ed in linea con le disposizioni vigenti, con la grave emergenza sanitaria che viviamo in questo particolare momento. La normativa prevede che il sindaco in virtù dell’art 50 comma 5 e 7 e dell’art 54 comma 4 e 4 bis del decreto legislativo 2000/267 come modificato dal decreto legislativo 92/2008 convertito in legge 215/2008 può, intravedendo motivazioni di interesse pubblico, sentiti anche gli operatori aderenti alle organizzazioni di categoria, tenuto conto della grave emergenza sanitaria nonchè dell’ordinanza sindacale N°21 del 19 marzo u.s. che ha imposto di non spostarsi dalla propria residenza oltre 500mt, sentito anche il dirigente del Suap e dell’assessore alle attività produttive, imporre l’apertura per la panificazione pensando anche ad eventuali turnazioni tra i panificatori in quel di via Roma. Il tutto in considerazione del ruolo economico e sociale, riconosciuto dalla legge regionale del 25/02/2014 n. 10, il cui intento era quello di impedire attività di panificazione illegale, un rischio questo che può ritenersi effettivo anche in tal caso. Purtroppo in Italia è stata abrogata la legge n.1002 del 56 che attribuiva al pane il ruolo di bene primario ed irrinunciabile, nonostante i numerosi disegni di legge, non si e’ più provveduto ad emanare una legge specifica, sebbene gli indirizzi della comunità europea a cui molti stati si sono già adeguati. Qualche maligno ha tentato di insinuare che, questa scelta, sia stata determinata dall’ordinanza che ha imposto ai panifici di produrre solo prodotti tipo pane ed affini, mentre ha vietato di produrre dolci e pizze che, nella settimana precedente, hanno sostituito di fatto pasticcerie e pizzerie. Pensar male è peccato, ma molto spesso ci si azzecca, recitava la massima di un noto politico, ma questa vicenda non si può ritenere chiusa alla luce della paura del contagio che attanaglia tutti noi, non si può scegliere di diventare “disertore” in una guerra che, prima o poi, finirà pretendendo successivamente di riaprire e ricominciare a fare gli eroi in periodo di pace come se nulla fosse accaduto, e tutti i cittadini oggi lasciati senza pane potrebbero a ben ragione esclamare: “Addò te fatta a staggione, là te faje pure vierno”!

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