(Red) – Un’accusa infamante quella emersa a carico del magistrato partenopeo Andrea Nocera che, ha deciso di ritornare, almeno temporaneamente, alla sede del Massimario della Cassazione, l’ufficio presso il quale prestava servizio prima di essere poi selezionato e trasferito a capo dell’ufficio ispettorato del Ministero della giustizia. L’ipotesi investigativa, che ha determinato l’azione della Procura di Napoli ad iscrivere nel registro degli indagati il magistrato partenopeo Andrea Nocera, consisterebbe nell’aver presumibilmente ricevuto numerosi biglietti di viaggio, per sé e per i suoi congiunti, sulla rotta Napoli-Capri, in cambio della disponibilità a fornire informazioni in un’indagine a carico di un armatore napoletano. Un’accusa che, secondo quanto trapelato, il magistrato sarebbe in condizione di confutare, anche perché chi conosce bene il personaggio sa bene che non si sarebbe mai fatto corrompere per offerte più allettanti figuriamoci per qualche piccolo favore da poche centinaia di euro. Comunque sia, a seguito dell’iscrizione del suo nome nel registro degli indagati, il sagace e conosciuto magistrato partenopeo ha deciso, per una condivisibile questione di stile, di rinunciare al suo ruolo presso il Ministero di Giustizia e di tornare al suo ufficio di appartenenza da dove, senza ombra di dubbio, si attiverà in maniera puntuale e decisa per dimostrare la sua completa estraneità ai fatti addebitatigli. Ma nel frattempo è lecito domandarsi da dove, come sia saltata fuori questa storia e, cosa ancora più importante, chi sarebbe l’imprenditore napoletano coinvolto? Orbene, l’imprenditore sarebbe il conosciutissimo armatore sorrentino Salvatore Di Leva, socio di Salvatore Lauro, in quanto amministratore della società Alilauro Gruson, e meglio conosciuto nell’ambiente sorrentino con il soprannome di “Salvatore Squaglianzogna”. Secondo quanto di nostra conoscenza, il Di Leva, sarebbe stato interrogato appena una settimana fa a Napoli dai pm della Procura napoletana, supportata anche dal procuratore aggiunto della capitale Paolo Ielo e dalla sua collega romana la pm Lia Affinati. La “fonte” informativa della Procura sarebbe costituita da un virus inoculato nel telefonino di Salvatore di Leva, l’ormai famosissimo “Trojan” fatale anche per Palamara, che avrebbe consentito agli inquirenti di registrare una conversazione “molto intrigante” che avrebbe messo nei guai anche un anziano commercialista, oltre che il magistrato napoletano, e che avrebbe indotto la Procura a dare un improvviso colpo di accelerazione alla delicata indagine. Infatti, secondo la nostra affidabilissima fonte, l’inchiesta condotta dal procuratore di Napoli Giovanni Melillo, dal pool mani pulite, con il suo capo Giuseppe Lucantonio, e dall’agguerrito pm anticamorra Giuseppe Cimmarotta, supportati da Woodcock di mani pulite, avrebbe tra le proprie indagini, approfondito anche la vicenda sulla scarsissima trasparenza nella concessione di alcune zone demaniali nel territorio stabiese che, argomento trattato più volte da questa redazione, potrebbero riservare delle sorprese poco gradevoli rispetto alla metodologia utilizzata ed all’uso che ne farebbe qualche concessionario. E considerato che la vicenda ci interessa molto da vicino, constatato che l’imprenditore monitorato dalla Procura partenopea opera attivamente sul nostro territorio attraverso la gestione della cessione di ramo d’azienda di una importante società oltre che con il naviglio della propria società , seguiremo con molta attenzione questa vicenda al fine di dare una corretta e puntuale informazione all’esito del naturale sviluppo dell’azione giudiziaria in corso.
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