Schettino_ConcordiaContinua, ininterrottamente, il processo di Grosseto dove, ieri l’altro, è stato il turno del comandante Schettino che è stato sottoposto ad un micidiale fuoco di fila di domande del pubblico ministero. Sotto l’incalzante azione demolitoria del pm, Schettino ha addirittura affermato, che quando egli comandava risultava essere “il primo dopo Dio” sulla nave, e sui pesanti capi di accusa che lo vedono alla sbarra si è difeso al limite dell’apologia del proprio ruolo e professionalità, esaltando le sue doti e la sua perizia di esperto navigatore. “Io come comandante sono il primo dopo di Dio”, questo a voler spiegare che tutte le decisioni assunte sono, ed erano, tutte sue, e che agli altri non restava altro che obbedire. Ben sette ore è durato l’esame del pm Leopizzi, evidenziando le numerose e gravi accuse che si ritrova sul groppone in questo processo. Una delle domande, tra le numerosissime, che ha rivolto a Schettino è stata quella relativa al ritardo nel lanciare il segnale di emergenza generale. “Volevo far arrivare la nave più possibile sotto l’isola – ha risposto l’imputato – Altrimenti se avessimo dato i sette fischi brevi e uno lungo, con le vibrazioni che c’erano state, la gente si sarebbe tuffata in acqua”, mentre la Concordia scarrocciava ancora in mare aperto. “Ho atteso a dare l’emergenza generale, me ne prendo la responsabilità”, ha spiegato perché “sapevo esattamente i tempi di scarroccio della nave, io conoscevo bene la Concordia, volevo che si avvicinasse all’isola per dare l’emergenza generale. Il danno era ormai fatto. Andava mitigato”. Il pm Leopizzi ha comunque insistito molto sul ritardato allarme anche perché la nave aveva i locali motore allagati, non aveva più propulsione, il generatore d’emergenza era ko: tutte cose che Schettino seppe presto. E quando ha chiesto degli annunci vocali rassicuranti fatti dare dal personale ai croceristi terrorizzati, Schettino ha risposto: “L’ho fatto per tranquillizzare le persone, temevo il panico. Non erano mica su un ottovolante”. Il pm ha chiesto perché non avvisò la capitaneria (è un altro reato) e invece si limitò a far dire che c’era un black out. E’ qui che Schettino tira in causa Roberto Ferrarini, il capo dell’unità di crisi della flotta di Costa quella sera, un altro dei co-indagati con Schettino che ha patteggiato: “Mi disse ‘Chiamo io la capitaneria’, mentre io feci chiamare la capitaneria di Civitavecchia cui do il mio cellulare, sempre nella consapevolezza che la nave rimanesse a galla con tre compartimenti allagati come mi era stato detto” e “per chiamare i rimorchiatori”. Una audizione al limite del paradosso, tanto che qualche risposta ricorda molto da vicino quella di seguito citata: “Se esistessero gli dèi, come potrei sopportare di non essere dio”! (Nietzsche, così parlò Zarathustra).

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