(di Maria Calabritto) – Da una parte i nababbi, dall’altra la spiaggia dei poveri. Da un lato il lusso estremo, quello da esibire, dall’altro chi può permettersi di andare al mare solo alla spiaggia libera lì dove il mare è appena appena, così dicono, balneabile. A fare da barriera una folta vegetazione e dei capannoni abbandonati.
Parliamo di Marina di Stabia, la più grande “opera incompiuta” della storia di Castellammare. Doveva portare benessere e sviluppo, ma oggi risulta essere soltanto una piccola “oasi” nel deserto. Un investimento pubblico di 100 miliardi, vecchio conio, che non ha portato risultati in termini di occupazione, sviluppo e progresso. Un porto turistico che è lì e dove la maggior parte degli stabiesi non vi ha mai avuto accesso. Solo quelli che possono permetterselo riescono a trascorrere qualche ora in quello che è un gioiellino, curato nei minimi dettagli, ma che non dà nulla alla città di Castellammare. Chi non è proprietario di un’imbarcazione con posto barca non può entrare. E l’accesso è vietato finanche a chi dovrebbe effettuare riparazioni meccaniche, ed affini, su quelle imbarcazioni. Questa è la triste realtà.
Un porto che non è aperto alla città è inutile per la stessa. Bello e curato nei minimi dettagli, ma una zona franca dove gli stabiesi non possono accedervi. Eppure quei soldi per finanziare questa grande opera sono pubblici ed a fondo perduto, proprio per creare sviluppo e benessere. Ed è proprio quello che non c’è mai stato. E ora la questione è giusto che approdi, finalmente, sui tavoli della politica di Palazzo Farnese. Ora tocca all’amministrazione Cimmino tentare di far rispettare quel “contratto” che i proprietari, di Marina Di Stabia, hanno sottoscritto con gli stabiesi non rispettandolo per niente, anzi chiudendosi letteralmente alla città.
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