CASTELLAMMARE DI STABIA (Antonio Carrillo) In materia di pubblicità, la linea normativa fondamentale è data dal Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005) e dal D.Lgs. 145/2007, che si occupa, segnatamente, della pubblicità cd. ingannevole e comparativa.
Preliminarmente,
tuttavia, può essere opportuno chiarire cosa si intende per pubblicità.
Si tratta di concetto che ha una perimetrazione tutta normativa, in
quanto, secondo quanto prescrive l’art. 2 co. I lett. a) del D. Lgs. 145/2007,
infatti, per pubblicità si intende «qualsiasi forma di messaggio che è diffuso,
in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale,
artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni
mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione
o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi».
La pubblicità così intesa, poi, a norma dell’art. 1 co. II del Decreto
Legislativo menzionato, deve possedere tre qualità, dovendo risultare: palese,
veritiera e corretta. Esiste, al contrario, anche una pubblicità
definita occulta (o indiretta, che dir si voglia), la quale non è vietata,
ma deve essere messa in evidenza, in modo da rendere edotto il consumatore
della natura commerciale del messaggio. Il tutto ovviamente nell’ottica di una
maggiore tutela del cittadino. A prevederlo è lo stesso codice del consumo
[cfr. art. 22]
che definisce come ingannevole la pubblicità occulta, quella cioè presentata in modo oscuro, incomprensibile o ambiguo o che non indica l’intento commerciale della pratica stessa, e ciò al fine di far assumere al consumatore medio una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso.
Ma come chiarire l’intento commerciale di un messaggio pubblicitario? In televisione è molto semplice: nel corso delle televendite che intramezzano gli spettacoli televisivi, appare un apposito messaggio in sovrimpressione con la dicitura «messaggio pubblicitario» o simili. Nel web invece è diventato abitudine inserire, insieme al post, l’hashtag #adv dove «adv» sta per advertising, ossia pubblicità in lingua inglese.
Nella pratica si è iniziato a inserire l’hashtag #adv dietro ogni post che nasconde un intento commerciale o che ha ricevuto una sponsorizzazione da parte di un brand. Sicuramente si tratta di una misura sufficiente ad escludere la pubblicità indiretta, ossia ingannevole. E la conferma viene da una serie di decisioni dell’Antitrust. La prima di questi è del 2017 con cui sono stati bacchettati tutti gli influencer, anche quelli piccoli: ogni post a pagamento deve essere ben segnalato agli altri utenti e ai propri contatti/follower in modo che tutti possano comprendere la natura commerciale della comunicazione. Ad agosto 2018, l’Autorità Garante del Mercato e della Concorrenza aveva già inviato lettere di moral suasion agli influencer e ai titolari dei marchi utilizzati dagli stessi. In tali comunicazioni, è stato ricordato che la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile in quanto tale. Il divieto di pubblicità occulta ha portata generale e deve, dunque, essere applicato anche alle comunicazioni diffuse tramite i social network, non potendo gli influencer lasciar credere al pubblico dei follower di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno promuovendo un brand.
L’influencer è quindi libero di utilizzare tanto l’hashtag #adv come qualsiasi altra segnalazione purché raggiunga lo scopo di mettere in chiaro il proprio intento promozionale e non incorrere nel divieto di pubblicità occulta.
L’Agcm ha tuttavia indicato degli hashtag alternativi ad #adv volti a rendere chiaramente riconoscibile la finalità promozionale, ove sussistente, di tutti i contenuti diffusi mediante social.
Anche se la presenza sull’immagine di un tag che rinvia al profilo o al sito del brand può ben esprimere l’effetto pubblicitario, l’Agcm ha tuttavia ritenuto che questo elemento non sia sufficiente. «La mancanza di ulteriori elementi – si legge nella raccomandazione – può non rendere evidente per tutti i consumatori l’eventuale natura promozionale delle comunicazioni». Tante sono, infatti, le testate ed i gruppi social stabiesi che, in barba alle regole chiare stabilite dalla massima autorità in materia, si cimentano in promozioni di brand senza rendere chiaramente riconoscibile la finalità dell’attività ingannando, volutamente, gli ignari followers, e non solo…… Ma di questo torneremo ad occuparci, ed anche molto presto, perché a queste latitudini esistono alcuni “marchettari” di professione che, utilizzando profili e/o pagine social per promuovere messaggi pubblicitari, aggirano in maniera semplice le normative in materia.
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