(Red) – In questo cruciale e delicatissimo momento, che sta vivendo la struttura ospedaliera di viale Europa, non è possibile pensare di risolvere il problema “inaugurando” stanze per sospetti e/o conclamati Covid in ogni reparto del nosocomio, consentendo tra l’altro anche visite di familiari ed amici, in quanto questa scelta potrebbe comportare la “sistemazione di pericolosissime mine” in tutti i reparti, scelta che potrebbe rivelarsi una vera e propria sciagura sanitaria, per un presidio, che oggi rimane punto di riferimento essenziale, nonché fondamentale, per un bacino di utenza di circa 600.000 abitanti. Chiariamo un concetto sostanziale, in modo da fare chiarezza in maniera definitiva: ”Nessuno ha mai parlato di voler chiudere l’intero nosocomio ai servizi di spedalità ordinaria e straordinaria”, eppure continuiamo a domandarci che cosa abbia prodotto quel “costosissimo” Pool costituito ai sensi della delibera 167 del 28 febbraio in relazione ai precisi compiti affidatigli, al netto del risparmio economico che ha mantenuto (nella fase cruciale della esplosione pandemica) il personale a SECCO DI DISPOSITIVI! Il problema andava affrontato in maniera decisa, una scelta dolorosa, ma improcrastinabile, da mettere in campo era quella di chiudere temporaneamente il reparto di Medicina d’urgenza, laddove c’è stato contagio e quindi un focolaio attivo, per poi adottare tutti gli accorgimenti relativi alla disinfezione e sanificazione del caso. Quindi NO alla serrata dell’intero Ospedale, ma solo quella di un reparto fortemente a rischio che ha visto realizzarsi il contagio del medico e di almeno due operatori, tanto proprio in virtù di riaprire dopo pochi giorni in perfetta sicurezza. Radio San Leonardo con dovizia di particolari racconta che, nell’ultima settimana di Marzo, regnando confusione e terrore tra il personale per quanto si era verificato in sala operatoria per il parto della giovane madre affetta da COVID avvenuto appunto il 16 marzo scorso, con i propri genitori a loro volta contagiati, il terrore e la tensione del personale era giunto ai massimi livelli di allerta in quanto, persistendo la carenza dei dispositivi, ci si interfacciava in maniera anomala e sospettosa fuori da ogni naturale e consolidato stereotipo. Poi il 22 marzo l’arrivo in reparto di una coppia di anziani, accompagnati dalla loro badante di origini marocchine, la sintomatologia molto marcata evidenziata attraverso le radiografia toraciche dei tre perfettamente sovrapponibili a polmoniti bilaterali interstiziali che il medico di turno, ricoverato tutt’ora al COVID Hospital di Boscotrecase, aveva immediatamente individuato e disposto, per quanto nelle modestissime possibilità logistiche nonché “strumentali protettive” carenti se non proprio inesistenti nel reparto di medicina d’urgenza, l’allerta tra il personale tutto con la relativa comunicazione di rito inoltrata alla Direzione Sanitaria. Ma era già troppo tardi per tentare di evitare il contagio, la COVIDfrittata era già una triste realtà per chi aveva avuto contatto con detti pazienti. L’ospedale deve garantire la sicurezza del personale, a tutti i livelli, perché tutelare questo patrimonio significa tutelare l’utenza che, sentendosi sicura, ripone fiducia e rispetto per il massacrante, oltre che pericoloso, lavoro al quale nessuno degli addetti mi pare si sia sottratto. Basta poco per risolvere il problema, sanificare gli ambienti e rendere disponibili i DPI per il personale, misure che insieme all’istituzione di percorsi diversi, sporco/pulito, ben delineati garantirebbero serenità non solo ai dipendenti, ed ai loro nuclei familiari, ma anche e soprattutto ai cittadini bisognosi di assistenza e cure nella consapevolezza che l’ospedale è un luogo sicuro dove si curano le malattie e non si corre il rischio di contrarre virus letali.
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